Mi ridestai dopo un sonno che mi parve essere durato epoche intere, ed
infatti il mondo che appariva ai miei occhi era colmo d'oggetti misteriosi ed
inauditi, al punto da sembrar frutto di opera magica, di cui pure tutti si
giovavano come se fossero parte della normale quotidianità. Ma subito non ebbi
modo di pensare a cotali meraviglie, perché fui subito coinvolto dai miei
interlocutori.
Ad attirare la mia attenzione fu innanzi tutto una dama di un'avvenenza
ineguagliata, bella come Angelica dev'essere stata al tempo di Re Carlo
Imperatore: disse di chiamarsi Nancy Callagan e di avere evocato me ed altri
spiriti a partire da oggetti, a lungo quiescenti, che le erano stati consegnati
da suo padre. Come Angelica, si dilettava dunque di magiche arti.
Affermò di essere in pericolo e di chiedere il nostro aiuto, offrendoci
in cambio la libertà.
Quasi un'offesa, pretendere di voler contraccambiare ciò che ogni degno
cavaliere dovrebbe desiare con tutta la sua forza, il pugnar per una siffatta
donzella. Giammai si pensi che Messer Ludovico possa esitare nell'offrire i
suoi servigi ad una dama in difficoltà – specie se graziosa come si conviene.
Che direbbe Orlando?
Ma guardandomi attorno, compresi perché la donzella non si era limitata
a chiedere un servigio facendo appello al nostro onore: ero forse l'unico, in
quel consesso, a conoscere il senso di tale parola. Accanto a me, vedevo una
banda di giovanotti evidentemente plebei, perché portavano abiti troppo larghi
per la loro taglia (forse ereditati? O rubati?) e in più punti laceri, benché
avessero anche catenelle, anelli di un certo pregio e di gusto discutibile.
Uno, che portava una curiosa parrucca blu e diceva di chiamarsi Curte, era
albergato da uno spirito come me, ma strano: parlava una lingua che suonava simile
al fiorentino, e sembrava ossessionato da una certa Micaela (il che portava il
pensiero alla mia perduta Alessandra...); un secondo, con in mano una grande
chitarra, sembrava aver trangugiato un filtro d'oblio e di pazzia: barcollava,
non teneva l'attenzione, biascicava di essere un gran musico di nome Ozzy
Osburne; un terzo faceva continuamente correr la mano da un sacchetto di
sfoglie gialle unte al luogo che deve rimaner nascosto, salvo quando scivolava
poco furtivo verso le grazie femminili, e diceva di chiamarsi Rocco. Io,
infine, avevo tra le mani il mio bastone animato, che celava il mio fido
stocco.
In breve, per onore, per interesse o per noia accettammo di vendicare
il torto subito dalla novella Angelica: suo padre Artigan era stato ucciso, mentre
suo zio, John Costantine, era sparito. Il giorno dopo la morte del suo parente,
un certo leguleio di nome Kevin Lomax aveva acquistato l'azienda di famiglia
per conto di qualcuno.
di Ludovico Jacopo Ariosto
di Ludovico Jacopo Ariosto
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